Il Ruolo del Gene TP53 nelle Malattie Autoimmuni: Meccanismi e Prospettive

Premessa

Trattando del ruolo del gene TP53 nel controllo dei meccanismi di sviluppo dei tumori, abbiamo visto come esso svolga principalmente:

  • La regolazione del ciclo cellulare;
  • L’induzione dell’apoptosi;
  • La soppressione dei tumori.

Gene TP53 e Sviluppo di malattie autoimmuni

Il gene TP53, noto per il suo ruolo cruciale nella prevenzione dei tumori attraverso la regolazione del ciclo cellulare e l’induzione dell’apoptosi, ha un impatto significativo anche su altri processi biologici, incluso il sistema immunitario. Tuttavia, il legame diretto tra il silenziamento del TP53 e la predisposizione a patologie autoimmuni non è altrettanto chiaro come nel caso del cancro. Questo articolo esplora i possibili meccanismi attraverso i quali il TP53 potrebbe influenzare il rischio di sviluppare malattie autoimmuni per effetto della sua perdita di funzione, analizzando le evidenze disponibili e identificando le aree che necessitano di ulteriori ricerche.

Rappresentazione di p53 - Fonte: Wikipedia - Cartoon representation of a complex between DNA and the protein p53 (described in Cho et al. Science 265 pp. 346, 1994
Rappresentazione di p53 – Fonte: Wikipedia – Cartoon representation of a complex between DNA and the protein p53 (described in Cho et al. Science 265 pp. 346, 1994) 

Possibili meccanismi di connessione

  1. Risposta immunitaria alterata: Il p53 può influenzare la risposta immunitaria regolando l’apoptosi delle cellule immunitarie e l’espressione di geni coinvolti nella risposta infiammatoria. La perdita della funzione di p53 potrebbe teoricamente portare a un’alterata regolazione dell’apoptosi, contribuendo a una risposta immunitaria anomala che potrebbe predisporre a malattie autoimmuni.
  2. Infiammazione cronica: La disfunzione di p53 può portare a un ambiente infiammatorio cronico. L’infiammazione cronica è un fattore noto che può contribuire allo sviluppo di malattie autoimmuni. Il p53 modula anche la secrezione di citochine e altre molecole coinvolte nell’infiammazione.
  3. Immunosenescenza: La perdita della funzione di p53 può contribuire all’immunosenescenza, un invecchiamento del sistema immunitario che può alterare la tolleranza immunitaria e predisporre a malattie autoimmuni. Il deficit di apoptosi può essere la causa fondamentale di patologie autoimmuni (V. Kumar A.K. Abbas J.C. Aster – ROBBINS E COTRAN – Le basi patologiche delle malattie. 9ª edizione)

Studi e evidenze

Le evidenze dirette che collegano il silenziamento del TP53 a patologie autoimmuni sono limitate. Tuttavia, ci sono studi che suggeriscono che mutazioni nel gene TP53 possono essere coinvolte in alcune malattie autoimmuni:

  • Lupus eritematoso sistemico (LES): Alcuni studi hanno riscontrato che i pazienti con LES possono avere una maggiore frequenza di mutazioni in TP53, suggerendo un possibile ruolo del gene nella patogenesi della malattia.
  • Artrite reumatoide: La disfunzione di p53 è stata osservata in alcune cellule sinoviali dei pazienti con artrite reumatoide, il che potrebbe suggerire un contributo del gene nella malattia.

Altri avori di ricerca suggeriscono una possibile connessione tra mutazioni nel gene TP53 e malattie autoimmuni attraverso i meccanismi sottoriportati. Ecco una sintesi di alcuni studi:

  1. TP53 e Fuga Immunitaria nei Tumori Questo studio esplora come le mutazioni nel TP53 possano contribuire alla fuga immunitaria nei tumori. Le mutazioni di TP53 possono creare un microambiente immunosoppressivo che aiuta i tumori a eludere il sistema immunitario. Questo meccanismo potrebbe avere implicazioni anche nelle malattie autoimmuni, dove un’inadeguata regolazione dell’immunità potrebbe giocare un ruolo significativo​ (SpringerLink)​.
  2. Effetti delle Mutazioni TP53 nel Linfoma Un altro studio ha esaminato l’impatto delle mutazioni di TP53 nel linfoma e ha osservato che tali mutazioni possono influenzare la risposta immunitaria e la progressione della malattia. Le implicazioni per le malattie autoimmuni derivano dal fatto che il linfoma e altre malattie autoimmuni condividono alcuni meccanismi patogenetici comuni, inclusa l’alterazione della regolazione immunitaria​ (ASH Publications)​.
  3. TP53 e Immunoterapia La ricerca recente ha indicato che le mutazioni in TP53 possono influenzare l’efficacia dell’immunoterapia nei pazienti oncologici. Poiché le terapie immunitarie mirano a modulare la risposta immunitaria, le mutazioni di TP53 che alterano questa risposta potrebbero anche fornire indizi su come tali mutazioni potrebbero influenzare le malattie autoimmuni, dove l’autoimmunità e l’infiammazione sono centrali.
  4. Recenti ricerche indicano che le mutazioni nel gene TP53 possono influenzare significativamente l’efficacia dell’immunoterapia nei pazienti oncologici. Ecco due studi chiave che evidenziano questi risultati:
  5. Studio sul Carcinoma Polmonare Adenocarcinoma: Uno studio pubblicato su BMC Bioinformatics ha esplorato l’impatto delle mutazioni di TP53 nei pazienti con adenocarcinoma polmonare. I ricercatori hanno scoperto che i pazienti con mutazioni di TP53 (TP53-MUT) presentavano un carico mutazionale del tumore (TMB) più elevato rispetto a quelli con TP53 selvatico (TP53-WT). Un TMB più elevato è spesso associato a migliori risposte all’immunoterapia. Inoltre, il gruppo TP53-MUT ha mostrato una maggiore espressione di vari checkpoint immunitari, come PD-1, CTLA4 e LAG3, che sono bersagli degli inibitori dei checkpoint immunitari (ICI). Ciò suggerisce che i pazienti con mutazioni di TP53 potrebbero beneficiare maggiormente delle immunoterapie che prendono di mira questi checkpoint​ (BioMed Central)​.
  6. Studio sul Carcinoma Epatocellulare (HCC): Uno studio pubblicato sul Journal for ImmunoTherapy of Cancer ha esaminato il ruolo di TP53 nella regolazione dell’evasione immunitaria nel carcinoma epatocellulare (HCC). Lo studio ha scoperto che le mutazioni di TP53 possono influenzare l’espressione di PD-L1, una proteina che gioca un ruolo critico nell’evasione immunitaria da parte dei tumori. Nel HCC con TP53 mutato, la soppressione di mTORC1 ha portato alla degradazione autofagica di PD-L1, mentre nel HCC con TP53 selvatico, ha aumentato l’espressione di PD-L1 attraverso il fattore di trascrizione E2F1. Lo studio ha concluso che combinando inibitori di mTOR con anticorpi anti-PD-L1 si sopprimeva significativamente la crescita tumorale e si migliorava la sopravvivenza nei modelli murini, suggerendo un approccio personalizzato all’immunoterapia basato sullo stato di TP53​ (BMJ Journals)​.Questi risultati sottolineano la complessità del ruolo di TP53 nel cancro e il suo potenziale impatto sull’efficacia delle immunoterapie. Comprendere questi meccanismi può aiutare a sviluppare trattamenti più precisi ed efficaci per i pazienti oncologici in base al loro stato mutazionale di TP53.

Questi studi ampliano la nostra comprensione del ruolo complesso e multifattoriale del gene TP53 nelle malattie immunitarie, suggerendo che ulteriori ricerche sono necessarie per chiarire completamente i meccanismi coinvolti e le loro implicazioni cliniche.

Aree che Necessitano di Ulteriori Ricerche

  1. Meccanismi Molecolari Precisi
    • Studio Dettagliato dei Meccanismi: Mentre esiste una comprensione generale di come le mutazioni di TP53 possano influenzare la risposta immunitaria, i dettagli specifici dei meccanismi molecolari coinvolti rimangono poco chiari. Ricerche approfondite sono necessarie per identificare come esattamente TP53 regola l’apoptosi delle cellule immunitarie e l’espressione delle citochine infiammatorie​ (BioMed Central)​​​.
  2. Correlazioni Specifiche tra Mutazioni di TP53 e Malattie Autoimmuni
    • Evidenze Cliniche: Studi clinici su larga scala potrebbero aiutare a stabilire una correlazione più chiara tra specifiche mutazioni di TP53 e la predisposizione a malattie autoimmuni come il lupus eritematoso sistemico e l’artrite reumatoide. Questo include l’analisi della frequenza e del tipo di mutazioni di TP53 nei pazienti con diverse malattie autoimmuni​ (BioMed Central)​​​.
  3. Ruolo dell’Infiammazione Cronica Mediata da p53
    • Infiammazione Cronica: La relazione tra disfunzione di p53 e infiammazione cronica è un’area promettente per ulteriori studi. Ricerche mirate potrebbero chiarire come l’alterazione della funzione di p53 contribuisce a mantenere uno stato infiammatorio cronico e come questo stato possa predisporre a patologie autoimmuni​​.
  4. Immunosenescenza e Autoimmunità
    • Immunosenescenza: La connessione tra la perdita della funzione di p53 e l’immunosenescenza richiede ulteriori indagini. È importante capire come l’invecchiamento del sistema immunitario influenzato da p53 possa alterare la tolleranza immunitaria e predisporre a malattie autoimmuni negli anziani​​.
  5. Interazione tra TP53 e Altri Fattori Genetici
    • Interazioni Genetiche: Studiare come TP53 interagisce con altri geni e fattori genetici che influenzano la risposta immunitaria potrebbe fornire una visione più completa della sua funzione nelle malattie autoimmuni. Questo potrebbe includere l’analisi di varianti genetiche e polimorfismi che modulano l’effetto delle mutazioni di TP53​​.
  6. Terapie Mirate basate su TP53
    • Sviluppo di Terapie: Le conoscenze derivanti dagli studi sui meccanismi molecolari e le correlazioni cliniche possono essere utilizzate per sviluppare terapie mirate. Approfondimenti su come modulare la funzione di p53 per prevenire o trattare malattie autoimmuni rappresentano un’importante area di ricerca futura​.
  7. Modelli Animali e Studi Preclinici
    • Ricerca Preclinica: Utilizzare modelli animali per studiare le conseguenze delle mutazioni di TP53 nel contesto delle malattie autoimmuni può fornire dati preziosi. Questi studi possono aiutare a identificare i cambiamenti immunologici e infiammatori che derivano dalla perdita della funzione di p53​​.

Queste aree di ricerca sono cruciali per ottenere una comprensione più completa del ruolo di TP53 nelle malattie autoimmuni e per sviluppare strategie terapeutiche efficaci.

Conclusioni

Sebbene ci siano indicazioni che il silenziamento o la mutazione di TP53 possa influenzare il sistema immunitario e potenzialmente contribuire a malattie autoimmuni, la relazione diretta e i meccanismi specifici non sono ancora completamente compresi. Ulteriori studi sono necessari per chiarire il ruolo del gene TP53 nelle patologie autoimmuni.

Questi studi forniscono una visione dettagliata del ruolo di TP53 nella regolazione dell’immunità e della risposta infiammatoria, evidenziando come le mutazioni o il silenziamento del gene possano contribuire allo sviluppo di malattie autoimmuni come il lupus eritematoso sistemico e l’artrite reumatoide.

Indagine e rielaborazione a cura di Davide Suraci – 14 Luglio 2024

Vedi anche: Meccanismi di Silenziamento Genico e Influenza sull’Insorgenza dei Tumori

Vaccinazione Epatite B e Patologie Autoimmuni

In questo report di casi clinici vengono evidenziate le correlazioni fra vaccinazioni antiepatite B e l’insorgenza di patologie/reazioni autoimmuni. Fonte: “Vaccines and AutoimmunityJehuda Shoenfeld et al., 2015 – Ed. Wiley.

Diversi studi hanno indicato un potenziale legame tra il vaccino HBV e lo sviluppo di patologia autoimmunitaria, da crossreattività con epitopi HBsAg, antigeni di lievito, o altri adiuvanti inclusi nel vaccino (Geier e Geier, 2002a, b, 2004, 2005; Geier et al., 2003; Ravel et al., 2004; Schattner, 2005; Cooper et al., 2010; Blank et al 2012.; Perricone e Shoenfeld, 2013). Il vaccino HBV è stato anche implicato nello sviluppo della sindrome ASIA, così come nella malattia indifferenziata del tessuto connettivo (Perricone e Shoenfeld, 2013). Cap. 16 Hepatitis B Vaccination and Autoimmunity – Daniel S. Smyk,1 Lazaros I. Sakkas,2 Yehuda Shoenfeld,3,4 and Dimitrios P. Bogdanov 1,2. – Pagina 151 di Vaccines & Autoimmunity 2015 di Yehuda Shoenfeld et al.

Il vaccino anti-HBV nello sviluppo di malattie autoimmuni, tra cui la sclerosi multipla ed altri disturbi neuromuscolari, patologie della pelle su base autoimmune, malattie vascolari e altre malattie autoimmuni. Gran parte dei dati qui riportati si basano su casi clinici, poiché esistono pochi studi di grandi dimensioni che esaminano il ruolo del vaccino contro l’HBV nell’autoimmunità. Nella Tabella 16.2, sono riassunti i potenziali meccanismi patogenetici con cui il vaccino HBV potrebbe innescare delle reazioni autoimmuni.

Alluminio, Vaccini e Reazioni Autoimmuni

In questa rassegna di abstracts, vengono descritti gli effetti dei sali di Alluminio impiegati nei vaccini sulla fisiologia. In particolare, vengono descritti: 1) gli effetti della tossicità non-lineare dell’Alluminio (indipendenti dalla dose); 2) le disfunzioni cognitive con miofascite macrofagica indotte dall’ idrossido di alluminio; 3) la persistenza a lungo termine dell’idrossido di alluminio derivato dal vaccino associata con disfunzione cognitiva cronica4) le anomalie metaboliche riscontrate con PET (Tomografia ad Emissione Positronica) in malati di miofascite macrofagica lungamente persistente.

Non-linear dose-response of aluminium hydroxide adjuvant particles
Non-linear dose-response of aluminium (alluminio) hydroxide adjuvant particles

Traduzione del riassunto dell’articolo “Non-linear dose-response of aluminium hydroxide adjuvant particles: Selective low dose neurotoxicity” [“Risposta non lineare al dosaggio delle particelle di adiuvante di idrossido di alluminio: neurotossicità selettiva a bassa dose”], pubblicato su Toxicology 2017 Jan 15;375:48-57, autori Crépeaux G, Eidi H, David MO, Baba-Amer Y, Tzavara E, Giros B, Authier FJ, Exley C, Shaw CA, Cadusseau J, Gherardi RK. Gli autori lavorano per Université Paris Est Créteil , Université Evry Val d’Essonne, altre strutture universitarie, e il centro nazionale francese per la ricerca scientifica (CNRS). https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27908630

L’ossidrossido di alluminio Aluminium (Al) (Alhydrogel®), il principale adiuvante approvato per l’uso nei vaccini umani e animali, consiste di nanoparticelle primarie che si agglomerano spontaneamente.

Preoccupazioni sulla sua sicurezza sono emerse in seguito al riconoscimento della sua inaspettata bio-persistenza a lungo termine all’interno delle cellule del sistema immunitario in alcuni individui, e rapporti di sindrome da fatica cronica, disfunzione cognitiva, mialgia, disautonomia e problematiche autoimmuni/infiammatorie temporalmente associate a somministrazioni multiple di vaccini contenenti alluminio.

Esperimenti sui topi hanno documentato la sua cattura e il suo lento trasporto da parte di cellule del lignaggio dei monociti dal muscolo in cui viene iniettato agli organi linfoidi ed eventualmente al cervello. Il presente studio mirava a valutare la funzionalità cerebrale dei topi e la concentrazione dell’alluminio 180 giorni dopo l’iniezione di varie dosi di Alhydrogel® (200, 400 e 800μg di alluminio per kg di peso corporeo) nel muscolo tibiale anteriore di topi femmina adulti CD1.

Le prestazioni cognitive e motorie sono state controllate per mezzo di 8 test convalidati, attivazione microgliale per mezzo dell’immunochimica dell’Iba-1, e livello di alluminio per mezzo della spettroscopia di assorbimento atomico con fornace di grafite. È stato osservato uno schema inusuale neuro-tossicologico limitato a basse dosi di Alhydrogel®. Cambiamenti neuro-comportamentali, compresa la diminuzione dei livelli di attività e un comportamento alterato simile all’ansia, sono stati osservati in animali esposti a 200μg Al/kg ma non a 400 e 800μg Al/kg, rispetto ai soggetti del gruppo di controllo.

How Aluminum (Alluminio) Adjuvant Causes Autism
How Aluminum (Alluminio) Adjuvant Causes Autism

Coerentemente, il numero microgliale appare aumentato nel prosencefalo ventrale del gruppo cui sono stati somministrati 200μg Al/kg. I livelli di alluminio nel cervello sono risultati selettivamente maggiori negli animali esposti alla dose minore, mentre i granulomi muscolari erano completamente scomparsi dopo 6 mesi in questi animali. Abbiamo concluso che Alhydrogel® iniettato a bassa dose nel muscolo del topo può selettivamente indurre accumulazione cerebrale di alluminio a lungo termine ed effetti neurotossici. Per spiegare questo risultato inaspettato, una strada che potrebbe essere esplorata nel futuro è quella della dimensione dell’adiuvante, dal momento che le sospensioni iniettate che corrispondono alle dosi minori, ma non quelle corrispondenti alle dosi maggiori, contenevano esclusivamente piccoli agglomerati nel range delle dimensioni tipiche di un batterio che sono notoriamente quelle che favoriscono la cattura e, presumibilmente, il trasporto da parte di cellule del lignaggio dei monociti.

In ogni caso, l’idea che la neurotossicità dell’Alhydrogel® obbedisca alla regola classica della tossicologia chimica “è la dose che fa il veleno” appare decisamente semplicistico.

Traduzione del riassunto  dell’articolo “Cognitive dysfunction associated with aluminum hydroxide-induced macrophagic myofasciitis: A reappraisal of neuropsychological profile”  [“Disfunzioni cognitive con miofascite macrofagica indotte dall’ idrossido di alluminio. Una rivalutazione del profilo neuro-psicologico”] pubblicato su Journal of Inorganic Biochemistry 2018 Apr;181:132-138, autori Aoun Sebaiti M, Kauv P, Charles-Nelson A, Van Der Gucht A, Blanc-Durand P, Itti E, Gherardi RK, Bachoud-Levi AC, Authier FJ; https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29079320 articolo completo su https://www.researchgate.net/publication/320347951_Cognitive_dysfunction_associated_with_aluminum_hydroxide-induced_macrophagic_myofasciitis_A_reappraisal_of_neuropsychological_profile

I malati di miofascite macrofagica (MMF) si presentano con diffuse artromialgie (1), fatica cronica, e disturbo cognitivo.

Le caratteristiche rappresentative della disfunzione cognitiva associate alla MMF comprendono disturbo dell’attenzione, sindrome disesecutiva (2), deficit di memoria visiva e sordità dall’orecchio sinistro.

Il nostro studio mira a rivalutare il profilo neuro-psicologico della MMF. 105 pazienti consecutivi non selezionati sono stati sottoposti a una batteria di test di memoria a lungo termine e a breve termine, funzionalità esecutiva, capacità di attenzione, funzioni strumentali e ascolto dicotico (3). Da questi risultati, i malati sono stati classificati in quattro differenti gruppi: malati sub-sintomatici (n=41) con risultati sopra il livello patologico (-1,65 SD) in tutti i test; pazienti fronto-subcorticali (n=31) che hanno mostrato risultati patologici nelle funzioni esecutive e nei test di attenzione selettiva; pazienti con la malattia di Papezio (4) (n=24) che hanno mostrato risultati patologici nell’immagazzinamento, nelle funzioni di riconoscimento e consolidamento per la memoria verbale episodica, oltre a disfunzione fronto-subcorticale; e pazienti con estinzione (n=9) che hanno mostrato estinzione del segnale sonoro dell’orecchio sinistro ad un test dicotico di ascolto, in associazione con disfunzione fronto-subcorticale e del circuito di Papezio. Inoltre, l’analisi incrociata dei test ha mostrato che i malati con funzioni cognitive apparentemente normali (gruppo sub-sintomatico) hanno ottenuto risultati significativamente peggiori nei test di attenzione in rapporto ad altri. In conclusione, il nostro studio mostra che:

  • la maggior parte dei pazienti ha specifici deficit cognitivi;
  • tutti i pazienti con deficit cognitivi hanno danneggiamento delle funzioni esecutive e dell’attenzione esecutiva;
  • i malati con deficit cognitivi misurabili mostrano una significativa debolezza nell’attenzione;
  • episodici danneggiamenti della memoria colpiscono la memoria verbale, ma non quella visiva;
  • nessuno dei malati mostra una disfunzione strumentale.

Sintomatologia

  • Dolori agli arti
  • Alterazione delle funzioni esecutive definite nel 1998 da Vicki Anderson come le abilità necessarie per un’attività intenzionale e finalizzata al raggiungimento di obiettivi, http://www.treccani.it/enciclopedia/sindrome-disesecutiva_%28Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica%29/
  • Test nel corso del quale vengono inviati tramite cuffie due messaggi diversi alle due orecchie.
  • Portatori di una disfunzione del circuito limbico mediale detto “Circuito di Papezio“. James Papez propose che tale circuito collegasse l’ipotalamo al lobo limbico.

Traduzione del riassunto dell’articolo “Long-term persistence of vaccine-derived aluminum hydroxide is associated with chronic cognitive dysfunction.” [“La persistenza a lungo termine di idrossido di alluminio derivato dal vaccino è associata con disfunzione cognitiva cronica”], pubblicato su Journal of Inorganic Biochemistry 2009 Nov;103(11):1571-8, autori Couette M, Boisse MF, Maison P, Brugieres P, Cesaro P, Chevalier X, Gherardi RK, Bachoud-Levi AC, Authier FJ; https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19748679

La miofascite macrofagica (MMF) è una condizione emergente, caratterizzata da specifiche lesioni del muscolo che indicano una persistenza a lungo termine dell’idrossido di alluminio all’interno dei macrofagi al sito di una precedente vaccinazione.

Le persone che ne sono colpite si lamentano principalmente di artromialgie, fatica cronica, e difficoltà cognitive. Abbiamo progettato un’esauriente di batteria di test neuro-psicologici per cercare di delineare la disfunzione cognitiva associata alla MMF (MACD). Messi a confronto con malati affetti da artrite e dolore cronico, i malati di MMF avevano un pronunciato e specifico danneggiamento cognitivo. La MACD colpiva principalmente

  1. sia la memoria visive che quella verbale;
  2. le funzioni esecutive, inclusa l’attenzione, la memoria lavorativa, e la pianificazione; e
  3. estinzione del segnale sonoro dell’orecchio sinistro al test dicotico di ascolto. I deficit cognitivi non si correlavano con il dolore, la fatica, la depressione o la durata della malattia. I meccanismi patofisiologici sottostanti la MACD devono ancora essere determinati. In conclusione, la persistenza a lungo termine dell’idrossido di alluminio derivato dal vaccino all’interno del corpo che si rileva nella MMF è associata con disfunzione cognitiva, non dovuta solamente a dolore cronico, fatica e depressione.

Biopersistence and brain translocation of aluminum (alluminio)

Traduzione del riassunto dell’articolo “Brain PET metabolic abnormalities in patients with long-lasting macrophagic myofasciitis” [“Anomalie metaboliche riscontrate con PET in malati di miofascite macrofagica lungamente persistente”] pubblicato su Morphologie Volume 100, Issue 330, September 2016, Page 172, autori Axel Van Der Gucht, Medhi Aoun-Sebaiti, Jessie Aouizerate, Eric Guedj, Romain Gherardi, Sabrina Yara, Emmanue lItti, Jerome Authierd; https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S128601151630056X

Retroscena

La miofascite macrofagica (MMF) è caratterizzata da un’anomala persistenza a lungo termine dell’idrossido di alluminio all’interno dei macrofagi al sito di una precedente vaccinazione. I malati si presentano con diffuse artralgie, fatica cronica, e disfunzione cognitiva. Lo scopo di questo studio era quello di determinare le caratteristiche delle anomalie metaboliche riscontrate con PET cerebrale nei malati di miofascite macrofagica indotta dall’adiuvante idrossido di alluminio, e metterle in relazione con la disfunzione cognitiva.

Metodi

(…) Il controllo neuropsicologico ha identificato quattro categorie di pazienti con:

  1. nessun danneggiamento cognitivo significativo (n = 42);
  2. disfunzione sub-corticale frontale (n = 29);
  3. disfunzione del circuito di Papezio (n = 22); e
  4. disconnessione del corpo calloso (n = 7).

Risultati

In raffronto a soggetti sani, l’analisi ANCOVA di tutta la popolazione dei malati di MMF esibiva uno schema di ipometabolismo (p < 0.001) che coinvolge i lobi occipitali, i lobi temporali, il sistema limbico, il cervelletto e la corteccia fronto-parietale. Il sottogruppo di pazienti con disfunzione sub-corticale frontale esibiva una maggiore estensione dell’area coinvolta (35.223 voxel contro 13.680 nel sottogruppo con disfunzione del circuito di Papezio e 5453 voxel nei malati senza danneggiamento cognitivo).

Conclusioni

Il nostro studio identifica un bio-marcatore metabolico del glucosio cerebrale in malati di MMF miofascite macrofagica lungamente persistente indotta da idrossido di alluminio. Lo schema è parso molto marcato nei malati di MMF con disfunzione sub-corticale frontale.

Nota: il voxel è una misura di volume analoga al pixel, laddove il pixel è bidimensionale e il voxel è tridimensionale.

Translation Credits: Professor Corrado Penna

Citochine TNF nei Vaccinati con Gardasil

Neurotossicità Vaccino HPV

[Aggiornamento del 21 Novembre 2017 – Leggi tutto]

Il vaccino Gardasil contiene frammenti di DNA di HPV associati ad un adiuvante alluminio le cui caratteristiche molecolari sono quelle di un nuovo composto chimico con una conformazione che è notoriamente mutagena (in altre parole, in grado di indurre mutazioni geniche e/o cromosomiche).

Il Dr. Sin Hang Lee ha trovato questo complesso molecolare in numerosi campioni di Gardasil provenienti da tutto il mondo. Egli ha riferito di questa scoperta in una conferenza in Francia nel 2014 (vedi qui: http://sanevax.org/france-debates-vaccinesafety/)

“…Ho testato 16 campioni del vaccino HPV Gardasil, ciascuna di numero di lotto diverso, provenienti da 9 paesi, e ho scoperto che tutti contenevano i frammenti di DNA di HPV residui (DNA virale) che sono stati utilizzati per la produzione degli antigeni del vaccino HPV mediante una tecnologia di ingegneria genetica . Inoltre, i frammenti di DNA virale in una conformazione non-B erano saldamente legati all’adiuvante alluminio nel vaccino mediante scambio ligando, un composto chimico creato spontaneamente, contenente DNA virale che può essere trasferito nelle cellule ospiti, cioè i fagociti e i macrofagi umani.

TNF Activation
TNF Activation

Sulla base delle ricerche effettuate, questo DNA virale può attivare il sistema immunitario innato dei macrofagi a generare e a rilasciare citochine, tra cui il fattore di necrosi tumorale TNF nei soggetti vaccinati.

In alcuni individui geneticamente predisposti, il livello del fattore di necrosi tumorale TNF può essere sufficiente a causare ipotensione, svenimenti, tachicardia, morte improvvisa inattesa e encefalomielite acuta disseminata, vale a dire le reazioni avverse che sono state documentate a seguito della vaccinazione con Gardasil…”

[Aggiornamento del 21 Novembre 2017Top]

Neurotossicità, effetto immuno-infiammatorio, effetto neuro-autoimmune del vaccino HPV
Neurotossicità, effetto immuno-infiammatorio, effetto neuro-autoimmune del vaccino HPV

Un altro aspetto della tossicità legata al vaccino Gardasil. Questo studio esiste da anni (2012) e i loro autori si sono chiesti se la morte dopo somministrazione del vaccino quadrivalente antipapilloma virus sia causale oppure una coincidenza. Leggete questa breve sintesi: “…..I ricercatori dimostrano che i vaccini anti-HPV possono scatenare sintomi simili alla vasculite cerebrale. Nello studio, i ricercatori hanno analizzato campioni di tessuto cerebrale di due giovani donne, che hanno sofferto di sintomi di tipo vasculite-cerebrale dopo le vaccinazioni di Gardasil e che successivamente sono morte. Hanno trovato anticorpi che riconoscono l’HPV-16L1, un antigene virale presente in Gardasil, che si lega alla parete dei vasi sanguigni nel cervello. Particelle dell’antigene HPV-16L1 di Gardasil sono state rilevate anche nelle arterie alla base del cervello, con alcune particelle che aderiscono alle pareti dei vasi sanguigni….” Studio scaricabile: “Death after Quadrivalent Human Papillomavirus (HPV) Vaccination: Causal or Coincidental?” per chi volesse approfondire:

In questo altro studio del 2013, i risultati del protocollo immunoistochimico basato su biomarker: “…L’impiego del IHC [un protocollo immunoistochimico basato su biomarker (IHC) per la valutazione della causalità in caso di sospetti effetti avversi neurologici ricollegabili a vaccinazione] ha anche mostrato un aumento dei livelli delle cellule T ed una marcata attivazione della classica via del complemento anticorpo-dipendente nei tessuti vascolari cerebrali. Questo pattern di attivazione del complemento in assenza di un’infezione cerebrale attiva indica un innesco anormale della risposta immunitaria in cui l’attacco immunitario è diretto verso l’auto-tessuto. Il nostro studio suggerisce che i vaccini HPV contenenti antigeni HPV-16L1 rappresentano un rischio intrinseco per l’attivazione di vasculopatie autoimmuni potenzialmente fatali. … Il fatto che molti dei sintomi riportati nel database VAERS di sorveglianza della sicurezza post vaccinazione HPV siano indicativi di vasculite cerebrale ma non sono riconosciuti come tali (es. emicrania persistente intensa, sincope, convulsioni, tremori e formicolio, mialgia, anomalie locomotorie, sintomi psicotici e deficit cognitivi), è una seria preoccupazione. Sembra quindi che in alcuni casi la vaccinazione possa essere il fattore scatenante di eventi autoimmuni / neurologici fatali. I medici dovrebbero essere consapevoli di questa associazione”.

Human papillomavirus (HPV) vaccines as an option for preventing cervical malignancies: (how) effective and safe?

Qui sotto ci sono i numeri presi direttamente dal foglietto illustrativo Gardasil 9.

Dei 13.236 individui che hanno ricevuto il Gardasil 9 e avevano la sicurezza del follow-up, 305 hanno riportato un evento avverso grave; rappresentando lo 2,3% della popolazione. A titolo di confronto, delle 7.378 persone che hanno ricevuto Gardasil e che avevano la sicurezza del follow-up, 185 hanno riportato un evento avverso grave, rappresentando 2,5% della popolazione.

In tutti gli studi clinici con Gardasil 9, i soggetti sono stati valutati per delle nuove condizioni mediche potenzialmente indicative di una malattia autoimmune sistemica.

In totale, per il 2,4% (321/13.234) dei destinatari del Gardasil 9 e del 3,3% (240/7.378) dei destinatari del Gardasil sono state riferite delle nuove condizioni mediche potenzialmente indicative di malattie autoimmuni sistemiche, che erano simili ai tassi riportati a seguito del Gardasil, il controllo AAHS, o soluzione salina placebo in studi clinici storici.

 gardasil9

Foglietto illustrativo del Gardasil 9 – attuale (alcuni valori sono stati “aggiornati” dalla stessa Merck, rispetto ai dati più sopra riportati).


Alluminio Tossicità nei Sistemi Biologici

Alluminio
Alluminio

Negli ultimi 200 anni, l’estrazione, la fusione e la raffinazione dell’alluminio in varie forme espone sempre di più le specie viventi a questo metallo. A causa della sua prevalenza nella crosta terrestre, prima della sua recente utilizzazione, è stato considerato come inerte e perciò innocuo. Tuttavia, l’alluminio è invariabilmente tossico per i sistemi viventi e non è mai stato conosciuto per esso un ruolo benefico nei sistemi biologici. Gli esseri umani sono sempre più esposti all’alluminio attraverso cibo, acqua, medicamenti, vaccini e cosmetici, nonché attraverso le esposizioni industriali.

L’alluminio interrompe i cicli biologici di autoregolazione, la trasduzione di energia, nonché i sistemi di feedback, aumentando così l’entropia dei sistemi biologici. L’alluminio interviene a livello della biofisica dell’acqua, l’interferenza procede attraverso le macromolecole che sono cruciali per i processi viventi (DNA, RNA, proteoglicani e proteine).

Sono danneggiate le cellule, i cicli energetici e materiali e i loro sottosistemi e può causare guasti catastrofici che terminano con la morte. L’alluminio forma dei complessi tossici con altri elementi, come il fluoro, e interagisce negativamente con mercurio, piombo, e glifosato. L’alluminio impatta negativamente il sistema nervoso centrale in tutte le specie che sono state studiate, compresi gli esseri umani.

A causa degli effetti globali dell’alluminio sulle dinamiche dell’acqua e dei sistemi biosemiotici, i disturbi del sistema nervoso centrale nell’uomo sono degli indicatori sensibili del’alluminio tossico a cui siamo esposti.

Durante l’ultimo decennio, studi sui modelli animali e sugli esseri umani hanno dimostrato che gli adiuvanti a base di alluminio sono di per sé causa di patologie autoimmuni e infiammatorie

Come indicato da Goldman e Miller in studi pubblicati nel 2011 e 2012, una forte correlazione tra i tassi di mortalità infantile e il numero di dosi di vaccini somministrati suggeriscono un impatto deleterio di esposizioni multiple ai loro componenti..

J Toxicol. 2014; 2014: 491316 – Published online 2014 Oct 2. doi: 10.1155/2014/491316 – Christopher A. Shaw, Stephanie Seneff, Stephen D. Kette, Lucija Tomljenovic, John W. Oller, Jr., and Robert M. Davidson.

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4202242/

[Traduzione e adattamento di yellowbrain]

Sindrome Autoimmune Indotta dagli Adiuvanti Vaccinali

Innesco di condizioni autoimmuni da vaccinazioni

Innesco di condizioni autoimmuni da vaccinazioni
Innesco di condizioni autoimmuni da vaccinazioni

Alla luce dei numerosi lavori pubblicati dal Dott. Yehuda Shoenfeld nel Dicembre 2015 nel Testo Unico “Vaccines & Autoimmunity”, è confermatissima la responsabilità di numerosi vaccini per uso pediatrico e adulto nello scatenare, anche dopo anni dall’inoculo, numerosi tipi di reazioni autoimmuni in cui l’organismo produce degli auto-anticorpi in grado di attaccare “senza fine” sé stesso… L’abstract in immagine, peraltro pubblicato da ELSEVIER, maggior editore medico mondiale, si riferisce ad un lavoro precedente di Soriano, Nesher e dello stesso Shoenfeld uscito nel 2014 e di cui è possibile trovare gli originali nei links sotto riportati. Già prima del 2014, tuttavia, erano state riportate numerose osservazioni da parte di altri autori su questa strettissima correlazione. Assurdo il fatto che i periti superpartes, come coloro che si occupano di giustizia nelle cause per danni da vaccino non siano adusi a consultare queste pietre miliari della ricerca sull’autoimmunologia. Intanto ci sono ancora moltissimi genitori di bambini danneggiati da vaccinazioni “a tappeto” che non sospettano minimamente la causa vaccinale come scatenante la malattia autoimmune subìta dai loro bambini…

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25277820

I Vaccini Inducono Reazioni Autoimmuni

Ci sarà pure una ragione del fatto che nel testo (altamente referenziato e peer-reviewed)Vaccines & Autoimmunity” di Shoenfeld, Tomljenovic, Agmon-Levin – 2015, a chiusura del capitolo introduttivo (pagina 6), viene riportato a chiare lettere che le varie tipologie di vaccini attualmente in commercio possono scatenare delle reazioni autoimmuni a breve-medio e lungo termine?

Vaccine can induce Autoimmune Reactions

Gli autori (non sono solo loro tre ma diverse decine hanno contribuito alla stesura di questo libro di testo sulle patologie autoimmuni), pur sostenendo la validità delle vaccinazioni, avvertono i medici e i clinici di tutto il mondo che il rischio (anche mortale) esiste. Dato ciò, come mai i pediatri e gli altri medici italiani IGNORANO COMPLETAMENTE i risultati di questi studi clinici ultratrentennali? Come mai continuano a vaccinare i neonati, i bambini, senza nemmeno considerare le loro specificità?

I vaccini possono indurre patologie autoimmuni

 

Patologie autoimmuni: i vaccini le innescano…

Yehuda Shoenfeld
Yehuda Shoenfeld

La ricerca è difficile da ignorare, i vaccini possono scatenare autoimmunità con una lunga lista di patologie. Con i metalli nocivi e tossici come componenti dei vaccini, chi è suscettibile e quali individui sono più a rischio?
Questo è ciò che si è domandato negli ultimi anni di ricerca il noto e stimato Prof. Dr. e ricercatore israeliano Yehuda Shoenfeld, che ha trascorso più di tre decenni a studiare il sistema immunitario umano. Egli è al vertice della sua professione e rappresenta più il cardine che il margine nella sua specialità; ha scritto libri di testo la cui lista ne contiene 25 fra i quali «The Mosaic of Autoimmunity, Autoantibodies, Diagnostic Criteria in AutoimmuneDiseases, Infection and Autoimmunity, Cancer and Autoimmunity» ed il recentissimo «Vaccines & Autoimmunity», ed alcuni di questi sono pietre miliari della pratica clinica. Non sorprende affatto che Shoenfeld sia quindi stato definito “il padre dell’autoimmunologia

Egli ha potuto constatare tramite studi scientifici che quasi tutti i tipi di vaccini sono stati segnalati per essere associati con la comparsa di patologie cosiddette ASIA –in inglese Autoimmune/inflammatory Syndrome Induced by Adjuvants ed in italiano Sindrome autoimmune/infiammatoria indotta dagli adiuvanti (conosciuta anche come sindrome di Shoenfeld)- che è stata ufficializzata per la prima volta soltanto quattro anni fa ( ): si tratta di un termine generico per un insieme di sintomi simili, tra cui la sindrome da affaticamento cronico, risultanti dopo l’esposizione ad un adiuvante -agenti ambientali compresi i comuni componenti dei vaccini che stimolano il sistema immunitario
In particolare l’alluminio in quanto metallo utilizzato nei vaccini, può innescare una reazione a catena del sistema immunitario nei soggetti sensibili e può portare a patologie autoimmuni conclamate!!

ALLUMINIO COME ADIUVANTE

Vaccines & Autoimmunity
Vaccines & Autoimmunity

L’alluminio venne aggiunto ai vaccini nel 1926, quando Alexander Glenny e colleghi notarono che avrebbe prodotto migliori risposte anticorpali nei vaccini rispetto al solo antigene, poiché induceva quello che venne definito un “effetto depot”: rilascio dell’antigene più lento ed aumento della risposta immunitaria. Per più di 60 anni questa teoria è stata accettata come dogma, ed al contempo la pianificazione vaccinale è cresciuta decennio dopo decennio, ma pochi si son davvero interrogati sugli effetti dell’iniettare alluminio nel corpo, e ciò è strano considerando la nota tossicità
Una ricerca effettuata su PubMed in merito ad alluminio e “tossicità” ha fornito 4,258 risultati. La sua neurotossicità è ben documentata: colpisce memoria, cognizione e controllo psicomotorio, danneggia la barriera ematoencefalica, attiva l’infiammazione del cervello, deprime la funzione mitocondriale e moltissime ricerche suggeriscono che svolga un ruolo chiave nella formazione delle placche amiloidi e dei grovigli nel cervello dei malati di Alzheimer. È implicato nella Sclerosi Laterale Amiotrofica e nell’autismo ( ) ed ha dimostrato di indurre allergia ( )
Quando alcuni pazienti vennero sottoposti a dialisi renale ( ) seppur accidentalmente “contaminata da particelle d’alluminio”, si verificò la cosiddetta “encefalopatia da dialisi-indotta” (DAE) con conseguente sviluppo di una serie di sintomi neurologici: anomalie del linguaggio, tremori, perdita di memoria, difficoltà di concentrazione e cambiamenti comportamentali
Molti dei pazienti alla fine sono andati in coma e sono morti
I più fortunati sono sopravvissuti e quando la fonte di tossicità, l’alluminio, è stata eliminata dalla loro dialisi, i pazienti hanno recuperato rapidamente

Con queste nuove osservazioni ( ), i ricercatori hanno iniziato a studiare gli effetti dell’alluminio come adiuvante impiegato nei vaccini, e negli ultimi dieci anni c’è stato un notevole incremento nella ricerca

Cytokine Storm o Tempesta Citochinica
Cytokine Storm o Tempesta Citochinica

Ben lungi dall’essere come una piccola sfera che contiene l’antigene per un po’ per poi esser espulsa, si è scoperto che i sali di alluminio innescano una tempesta difensiva del sistema immunitario: poche ore dopo l’iniezione dello stesso alluminio legato all’ossido ed all’idrossido presenti nei vaccini inoculati nei topi, ad es, gli eserciti di cellule immunitarie specializzate si allertano, e nel giro di un giorno, tutta una serie di componenti del sistema immunitario s’attiva: neutrofili, eosinofili, monociti infiammatori, mieloidi e cellule dendritiche, richiamano i linfociti e secernano proteine cd citochine, che causano esse stesse danni collaterali ( ) trasmettendo segnali, indirizzando la comunicazione cellula-a-cellula e reclutando altre cellule all’azione
Quando la fase successiva dell’attacco viene avviata il fattore di crescita di fibroblasti, interferoni, interleuchine e delle piastrine, il fattore di crescita trasformante come quello di necrosi tumorale aumentano esponenzialmente!!

Ci sono prove ancora poco note a proposito degli inflammasomi, che sono complessi proteici oligomerici (attualmente rappresentano un tema di punta nella ricerca sulle casualità del cancro), come il recettore Nod-simile 3 (NLRP), attivati anch’essi dalle citochine, ma è ancora troppo presto per dire esattamente quale sia il loro ruolo

Un’importante recentissima ricerca dalla University of British Columbia ha messo in luce il fatto che l’alluminio utilizzato come adiuvante ( ) nei vaccini iniettati nei topi può alterare l’espressione dei geni associati con l’autoimmunità; in un recente studio pubblicato sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences”, gli immunologi della University of Colorado hanno divulgato che anche le cellule ospiti del DNA vengono reclutate nell’attacco all’alluminio, cellule ospiti che rapidamente aggiungono un rivestimento all’alluminio iniettato, innescando effetti di cui gli scienziati hanno appena scalfito la conoscenza

Riflessione conclusiva

[Se anche togliessero un giorno l'[A]lluminio come adiuvante, si è recentemente scoperto che qualsiasi vaccino il cui agente patogeno deriva da coltura in cellule fetali, anche sane, può
• aggregarsi al genoma del ricevente *** m o d i f i c a n d o l o *** (ed innescando quindi future patologie autoimmuni)]