🪶 Introduzione: quando i numeri non bastano
Alla fine del XIX secolo, il vaiolo era ancora una delle malattie più temute in Europa. In Italia, nonostante le campagne vaccinali iniziate con l’Unità nazionale, le epidemie si presentavano ciclicamente con violenza, causando migliaia di morti. In questo contesto, Carlo Ruata, medico e professore di Igiene all’Università di Perugia, si distinse per il rigore e il coraggio delle sue analisi.
Tra il 1887 e il 1889, Ruata raccolse i dati ufficiali sulla mortalità da vaiolo suddivisi per sesso ed età. Le sue conclusioni, contenute in una serie di pubblicazioni accademiche e interventi pubblici, erano chiare ma scomode: gli uomini adulti morivano più delle donne, pur essendo più frequentemente rivaccinati.
Questa constatazione, per nulla ovvia, metteva in discussione l’efficacia della rivaccinazione come unica misura protettiva. E, ancor più profondamente, suggeriva che l’immunità non fosse solo un fatto biologico, ma anche sociale, esperienziale, relazionale.

📊 1. I dati parlano chiaro
🖼️ “Distribuzione delle morti per vaiolo (1887–1889)”
Nel triennio considerato, Ruata documenta che sotto i 20 anni uomini e donne muoiono per vaiolo in proporzioni pressoché identiche. Ciò è coerente con la politica sanitaria dell’epoca: la vaccinazione infantile era obbligatoria e veniva somministrata con regolarità a entrambi i sessi.
Ma nella popolazione sopra i 20 anni, la situazione cambia. Gli uomini, che avevano più probabilità di ricevere una seconda vaccinazione (soprattutto per via della leva militare), presentano un tasso di mortalità sensibilmente più alto rispetto alle donne.
📍 Numeri complessivi (1887–1889):
- Morti <20 anni:
- Uomini: 18.972
- Donne: 18.967
- Morti >20 anni:
- Uomini: 5.745
- Donne: 4.091
➡️ Una differenza di 1.654 decessi in più tra gli uomini adulti.
📈 2. Un confronto visivo che racconta due storie
🖼️ “Confronto tra fasce d’età e sessi”
Se osserviamo i dati sotto forma di grafico, l’effetto è evidente. I bambini e gli adolescenti, uomini e donne, sembrano colpiti in modo simile. Ma nel segmento adulto, il grafico a barre della popolazione maschile si alza vistosamente.
Ruata stesso era consapevole che la statistica è uno strumento potente, ma va sempre letta alla luce del contesto. Un numero è solo un inizio: bisogna domandarsi cosa racconta della realtà.

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🧠 3. Vaccinati, ma non protetti?
🖼️ “Vaccinati ma più colpiti”
Sarebbe stato logico aspettarsi il contrario: gli uomini, più frequentemente rivaccinati, dovevano essere più protetti. In particolare, i militari ricevevano dosi aggiuntive durante il servizio, proprio per ridurre il rischio di epidemie nelle caserme.
Eppure, i dati sembrano dire altro. L’efficacia della rivaccinazione, almeno in questa popolazione adulta, appare limitata. Ruata non lo dice con leggerezza. Ma osserva con attenzione: dove c’è più vaccinazione, non c’è meno mortalità. E questo lo porta a riconsiderare un possibile fattore che oggi potremmo chiamare “esposizione naturale”.
🧬 4. Il potere invisibile dell’esperienza quotidiana
🖼️ “Immunità dall’esperienza quotidiana”
Qui Ruata compie un salto interpretativo notevole, che lo rende modernissimo. A suo avviso, le donne adulte erano più spesso a contatto con il vaiolo nella vita quotidiana. Non lavoravano in caserma, non andavano al fronte, ma assistevano i malati, accudivano i bambini, curavano i parenti infetti.
Questa esposizione — ripetuta, indiretta, ma costante — avrebbe potuto rafforzare l’immunità in modo naturale. Non un’immunità da laboratorio, ma una resistenza costruita nella carne e nel gesto quotidiano.
🤔 5. Una lezione ancora viva
🖼️ “Numeri e contesto sociale”
La riflessione di Ruata è, a suo modo, radicale. Non nega il valore della vaccinazione (tutt’altro). Ma afferma che non può essere l’unico fattore considerato. La salute di una persona dipende da ciò che fa, da dove vive, da chi cura, da come si espone.
In un’epoca come la nostra, in cui si dibatte ancora su vaccinazioni, immunità di gregge, contatto, esposizione e rischio, le parole di Ruata suonano attualissime.
“…La medicina è soprattutto una lettura della società, dei ruoli, dei corpi che vivono insieme…”
📎 Conclusione
Il caso del vaiolo e della riflessione di Carlo Ruata ci ricorda una verità che spesso dimentichiamo: dietro ogni dato sanitario ci sono delle vite, e ogni vita è immersa in un contesto.
Nel XIX secolo, come oggi, le risposte mediche devono tenere conto non solo della biologia, ma anche del lavoro invisibile, dell’esposizione involontaria, delle differenze sociali e di genere. Solo così possiamo davvero capire chi si ammala e perché.
💦 Fonti e approfondimenti
- Dati originali estratti dal volume Vaccinazione Sua storia e suoi effetti -1912: Carlo Ruata.
- Elaborazione grafica, testuale, data mining e data mixing: Davide Suraci, 2025.
- Testo e contestualizzazione storica: Davide Suraci – Basati su fonti medico-sanitarie e storiche.